Gli attivisti chiedono giustizia per le lavoratrici e i lavoratori tessili in Bangladesh e lo stop all’utilizzo dei voli cargo per il trasporto di abiti fast fashion, un sistema ad altissimo impatto ambientale.

Flash mob contro il fast fashion a Milano. Abiti puliti: “Chiediamo giustizia climatica e sociale”

Tabella dei Contenuti

Gli attivisti della Campagna Abiti Puliti davanti allo store di Zara a Milano chiedono giustizia per le lavoratrici e i lavoratori tessili in Bangladesh e lo stop all’utilizzo dei voli cargo per il trasporto di abiti fast fashion.

Lo scorso 15 luglio, mentre Fondazione Finanza Etica partecipava all’assemblea generale degli azionisti di Inditex per votare contro la Relazione Consolidata di Sostenibilità, gli attivisti della Campagna Abiti Puliti hanno organizzato un flash mob davanti al negozio di Zara di Corso Vittorio Emanuele, a Milano, mentre le attiviste di Setem presidiavano quello di Barcellona.

Inditex è una multinazionale spagnola che possiede e gestisce diversi marchi di moda del fast fashion, tra cui Zara, Pull&Bear, Massimo Dutti, Bershka, Stradivarius. Gli attivisti, insieme a FAIR e Fondazione Finanza Etica che fanno parte della Campagna Abiti Puliti, coalizione italiana della Clean Clothes Campaign, chiedono alla multinazionale di rivedere la propria strategia logistica e intervenire in merito alle denunce di violazioni dei diritti dei lavoratori che riguardano i fornitori in Bangladesh.

“Attivisti e consumatori chiedono trasparenza sulle politiche di gestione del rischio adottate dal colosso spagnolo. La richiesta di un salario dignitoso per chi produce i capi e quella di abbandonare il trasporto aereo alimentato da combustibili fossili sono due facce della stessa lotta: giustizia sociale e climatica sono inscindibili”, Deborah Lucchetti di FAIR e coordinatrice nazionale di Campagna Abiti Puliti.

Lo studio di Public Eye: “Inditex aumenta le emissioni dei trasporti dannose per il clima” 

La prima richiesta degli attivisti riguarda l’impatto sul clima dei trasporti generato dalla multinazionale. Secondo un recente studio di Public Eye, organizzazione della Campagna svizzera che fa parte della CCC internazionale, le emissioni legate a trasporto e distribuzione del colosso spagnolo sono aumentate del 10% nell’ultimo anno, raggiungendo 2,6 milioni di tonnellate di CO₂ equivalenti. Il trasporto rappresenta oggi circa il 20% dell’impronta climatica di un singolo capo Zara, a causa del massiccio utilizzo di voli cargo per alimentare un modello di business ultra-veloce e insostenibile.

Inditex grafico Fonte. Public Eye
Inditex grafico – Fonte: Public Eye

Inditex sta cercando di nascondere l’enorme impatto climatico esercitato dalla sua logistica dei trasporti, menzionato solo una volta nell’intera relazione annuale, nel contesto di un accordo sull’utilizzo di carburante sostenibile per l’aviazione. L’azienda intende aggiungere il 5% di questo carburante ai suoi voli cargo da Madrid. Visto la portata del problema, questo non risolverà molto.  Una misura isolata nasconde la reale portata delle emissioni prodotte dal trasporto aereo non è altro che greenwashing, come si legge nello studio di Public Eye.

Inditex ha anche modificato il suo metodo di calcolo delle emissioni di gas serra nell’attuale relazione annuale com il quale si riduce il volume totale delle emissioni dichiarate ma solo matematicamente. L’effettivo aumento delle emissioni derivanti dal trasporto e dalla distribuzione è quindi ancora più preoccupante.

“Gli azionisti hanno il potere di orientare Inditex verso un percorso più sostenibile. Chiediamo l’eliminazione completa e rapida della ‘moda volante’, la pubblicazione di dati trasparenti sui voli cargo e obiettivi chiari per un modello logistico privo di queste pratiche dannose per il clima“, ha affermato David Hachfeld di Public Eye.

Gravi violazioni dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici nel Paese asiatico

“Quasi 3.000 tra lavoratori e lavoratrici della filiera Inditex rischiano ancora il carcere solo per aver rivendicato salari dignitosi. È una brutale tattica intimidatoria. Inditex ha il potere di chiedere ai suoi fornitori di ritirare queste accuse infondate: il suo silenzio equivale a una complicità nella repressione di chi permette ai suoi profitti di esistere“, afferma Bogu Gojdź di Clean Clothes Campaign.

“Siamo qui per chiedere un adeguamento dei salari e la fine dello sfruttamento dei lavoratori del tessile. – afferma Deborah Lucchetti – Ci mobilitiamo per i lavoratori del Bangladesh denunciati dai fornitori di Zara per aver protestato contro lo sfruttamento lavorativo. La condizione di chi lavora in questo settore è al limite, con episodi di caporalato come quello denunciato tra i dipendenti di Loro Piana. Tutto questo deve finire”.

“STOP ALLA MODA VOLANTE” firma QUI la petizione lanciata dalla Campagna Abiti Puliti.

Secondo il rapporto della società di analisi dati RepRisk che ha suddiviso il settore della moda in livelli fast fashion, premium e luxury, sulla base del monitoraggio dei dati, analizzando oltre 2,5 milioni di documenti pubblici provenienti da media, enti no-profit, agenzie governative e altre organizzazioni. Negli ultimi cinque anni, la maggior parte degli incidenti a rischio sociale nelle catene di fornitura del settore della moda è stata collegata a cattive condizioni di lavoro, lavoro forzato e violazioni dei diritti umani con la complicità delle aziende. Complessivamente, questi tre problemi rappresentano circa il 35% di tutti gli incidenti documentati nei tre livelli dei marchi di moda. Nel livello luxury, il 17% degli incidenti riguarda “lavoro forzato” e “violazioni dei diritti umani e complicità aziendale“, ed è la percentuale più alta tra i tre livelli.

La Campagna Abiti Puliti, fondata negli anni ’90, è la più grande alleanza del settore abbigliamento di sindacati e di organizzazioni non governative. Le loro campagne si focalizzano sul miglioramento delle condizioni lavorative nel settore dell’abbigliamento. Dal 2013 dopo la tragedia del Rana Plaza, le fabbriche sono davvero più sicure? A spiegarcelo nello speciale di TeleAmbiente Deborah Lucchetti, coordinatrice nazionale Campagna Abiti Puliti.

Pubblicità
Articoli Correlati