clima incendi salute

Incendi, due studi dimostrano la pericolosità per clima e salute

Tabella dei Contenuti

L’Organizzazione meteorologica mondiale avverte: “L’inquinamento atmosferico può colpire anche a migliaia di chilometri di distanza, minacciando la salute e causando nuovi fenomeni meteorologici e climatici”. Un altro studio, invece, analizza il ruolo delle particelle di fuliggine nell’atmosfera. 

Un vero e proprio circolo vizioso. Se tra gli effetti del cambiamento climatico troviamo anche una maggior propagazione degli incendi, i roghi a loro volta minacciano seriamente sia il clima che, per il deterioramento della qualità dell’aria, anche la salute. Qualche sospetto, indubbiamente, c’era già, ma ora ci sono due studi a confermarlo. E le notizie non sono affatto buone, anzi: la realtà potrebbe essere peggiore delle ipotesi dei più pessimisti.

Partiamo dagli effetti degli incendi sulla salute. Sappiamo benissimo che i roghi alterano la qualità dell’aria, mettendo persone e animali a rischio di sviluppare malattie respiratorie e cardiovascolari. Ora, però, l’ultimo bollettino pubblicato dall’Organizzazione meteorologica mondiale rivela che alcuni effetti negativi degli incendi, e nello specifico le sostanze inquinanti generate dalla combustione, possono pregiudicare la qualità dell’aria anche a migliaia di chilometri di distanza, a seconda dell’entità dei roghi e del materiale bruciato. L’agenzia meteorologica dell’Onu ha spiegato che la qualità dell’aria che respiriamo è strettamente legata al cambiamento climatico e, per questo, i due problemi non possono essere affrontati separatamente. Riferendosi agli incendi più estesi degli ultimi tempi (Amazzonia, Canada e Siberia), il vicesegretario generale Ko Barrett ha spiegato: “Il cambiamento climatico e l’inquinamento atmosferico non seguono i confini nazionali, come dimostrano il caldo e la siccità che alimentano gli incendi boschivi e degradano la qualità dell’aria di milioni di persone“.

I ricercatori dell’Organizzazione meteorologica mondiale hanno esaminato il rapporto tra clima e qualità dell’aria, e nello specifico il ruolo delle microparticelle aerosol negli incendi più vasti a livello mondiale, ma anche nella formazione della nebbia invernale, nelle emissioni del trasporto marittimo e nell’inquinamento urbano. Particolarmente pericolose, come sappiamo, sono le particelle con diametro inferiore a 2,5 micrometri (PM2,5), che per le loro dimensioni ridottissime penetrano in profondità nei polmoni o nel sistema cardiovascolare. In Canada, Siberia e Africa centrale, nel 2024 i livelli di PM2,5 sono stati superiori alla media per effetto degli incendi, ma è nel bacino amazzonico che si è registrato l’aumento maggiore. “Per effetto del cambiamento climatico, la stagione degli incendi boschivi ogni anno diventa più lunga e più grave. I roghi in Canada hanno finito per causare inquinamento atmosferico anche in Europa, è successo l’anno scorso e anche quest’anno” – ha spiegato Lorenzo Labrador, direttore scientifico dell’Omm – “In determinate condizioni meteorologiche, assistiamo a un deterioramento della qualità dell’aria in tutti i continenti. Questi incendi hanno essenzialmente prodotto una miscela tossica di componenti che inquinano l’aria“.

C’è chi lo ripete da tempo, ma a quanto pare il tema viene troppo spesso trascurato: la crisi climatica comporta non solo danni ambientali considerevoli, ma anche economici e sanitari. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’inquinamento atmosferico causa in tutto il mondo oltre 4,5 milioni di morti premature, ed è per questo che l’Omm ha lanciato un appello per migliorare il monitoraggio della qualità dell’aria a livello globale, oltre all’adozione di politiche più efficaci nel proteggere la salute umana e ambientale e ridurre le perdite economiche, a cominciare da quelle agricole. Nel bollettino viene citato anche un interessante caso di studio: nell’India settentrionale, più precisamente nella pianura indo-gangetica, dove vivono oltre 900 milioni di persone, l’inquinamento atmosferico (causato in particolare dalla combustione di biomasse agricole) è sempre più grave e ha provocato un aumento del numero e della durata dei casi di nebbia invernale. “La persistenza della nebbia non è più un semplice evento meteorologico stagionale, è un sintomo dell’impatto sempre maggiore dell’attività dell’uomo sull’ambiente“, spiega l’Omm.

Ci sono poi anche dei casi positivi, dove politiche efficaci di contrasto all’inquinamento atmosferico si riflettono anche in un miglioramento dei dati meteorologici. Paulo Laj, responsabile dell’atmosfera globale dell’Omm, ricorda infatti che alcune città degli Stati Uniti, della Cina (Shanghai e Pechino) e l’Unione europea hanno fatto scelte precise con l’obiettivo di diminuire i livelli di PM2,5: “Molte città o Paesi hanno adottato misure e si osserva una forte diminuzione dell’inquinamento atmosferico a lungo termine. Le città cinesi, nel giro di dieci anni, hanno migliorato notevolmente la qualità dell’aria, è davvero impressionante. Non ci sono misure universali per arrivare ad un cambiamento radicale, ma quando vengono adottate delle misure, funzionano. Non ci rendiamo conto che quello che venti anni fa respiravamo in Europa era molto peggiore di ciò che respiriamo oggi“.

Se le particelle di fuliggine prodotte dai grandi incendi boschivi possono avere conseguenze gravi sulla salute, anche a migliaia di chilometri di distanza, lo stesso potrebbe valere per il clima. Uno studio del New Jersey Institute of Technology, pubblicato su Environmental Science & Technology, ha dimostrato che quelle particelle riescono a raccogliere sostanze chimiche e vapore acqueo, causando ciò che scientificamente è noto come invecchiamento atmosferico. Le conseguenze, anche se siamo ancora nel campo delle ipotesi che andranno confermato, potrebbe essere un impatto più rapido su meteo, clima e qualità dell’aria, in modi ancora sconosciuti secondo gli attuali modelli atmosferici. Questo perché, come spiega Alexei Khalizov, docente di chimica al NJIT e autore dello studio, “la fuliggine è un aerosol unico che assorbe molto bene la luce solare ma la disperde a malapena, diventando così un potente agente climatico sin dal momento in cui viene emesso“.

Fino a non molto tempo fa, si sapeva ben poco sia della rapidità con cui le nanoparticelle di fuliggine cambiano forma e composizione chimica una volta sospese nell’aria che di come possa variare il loro forzante radiativo (capacità di intrappolare o riflettere l’energia solare). La scienza sta facendo però notevoli progressi in tal senso, specialmente negli ultimi anni, e questo potrebbe aiutare a scoprire nuovi dettagli. “Ciò che ci ha sorpreso è la rapidità con cui la fuliggine cambia dopo essere entrata nell’aria, alterando drasticamente la sua capacità di riscaldare o raffreddare l’atmosfera. Il nostro studio suggerisce che prevedere l’impatto climatico della fuliggine è molto più complesso di quanto si potesse pensare” – ha spiegato ancora Khalizov – “Finora, i modelli consideravano le particelle di fuliggine come semplici sfere, ma in realtà sono aggregati, ovvero grumi di molte particelle più piccole. La forma a merletto permette alla fuliggine di accumulare sostanze chimiche molto più velocemente di quanto si immaginasse in precedenza, questo significa che le proprietà climatiche della fuliggine si evolvono più rapidamente, influenzando sia gli effetti di riscaldamento e raffreddamento, sia la sua durata di vita“.

Questo perché le particelle di fuliggine prodotte dagli incendi acquisiscono rapidamente rivestimenti chimici attraverso un processo, la condensazione caillare, in cui minuscole fessure sulle superfici irregolari delle particelle attirano vapori chimici. Con l’aumentare dell’umidità, le sostanze chimiche accumulate sulle particelle le aiutano ad assorbire acqua, trasformandone la composizione e il comportamento. Queste particelle idratate possono anche favorire la formazione di nubi, riflettendo la luce solare e raffreddando l’atmosfera.

In laboratorio, i ricercatori del NJIT hanno utilizzato un sistema aerosol progettato appositamente per studiare come cambiano le particelle di fuliggine una volta entrate in atmosfera. Concentrandosi su particelle di dimensioni tipiche della fuliggine atmosferica (circa 240 nanometri di diametro), sono stati utilizzati gas traccia come l’acido solforico e prodotti di ossidazione di composti organici volatili per simulare, a diversi livelli di umidità, le reali condizioni chimiche ed atmosferiche. Da qui, con strumenti particolarmente avanzati, sono stati monitorati in tempo reale i cambiamenti legati all’invecchiamento atmosferico e misurate dimensioni, massa e forma delle particelle. Con microscopi elettronici a scansione, poi, l’analisi dei campioni raccolti ha rivelato l’evoluzione delle particelle ad alta risoluzione.

A quel punto, grazie anche a Gennady Gor (direttore del laboratorio per le interfacce dei materiali del NJIT), è stato sviluppato un nuovo modello computerizzato che simula come i vapori chimici si condensano sulla fuliggine, formando rivestimenti simili a liquidi che aumentano la capacità di attrarre umidità e formare nuvole, fattori chiave del loro impatto sul clima. Dopo i buoni presupposti del lavoro in laboratorio, le simulazioni sono state estese a condizioni atmosferiche reali grazie anche a Nicole Riemer, docente dell’Università dell’Illinois: i risultati hanno mostrato che le particelle di fuliggine iniziano a formare rivestimenti e a cambiare forma in poche decine di minuti, mentre poco meno dell’80% delle particelle viene processato dopo alcune ore. Nelle simulazioni precedenti, basate sulla fuliggine trattata come sfere, si stimavano tempi più lunghi e appena un 20% di particelle processate.

Una scoperta considerevole: questa trasformazione rende le particelle più compatte e in grado di assorbire la luce solare, quindi il loro effetto riscaldante è maggiore di quanto si pensasse in precedenza. “Queste particelle soffici, dopo essersi mescolate con altre sostanze chimiche, cambiano forma in grumi più densi e diventano più propense ad assorbire la luce solare a convertirla in calore, producendo un ulteriore riscaldamento” – ha spiegato Alexei Khalizov – “Allo stesso tempo, riflettono più luce e formano nubi, portando a un raffreddamento. Questi due effetti contrapposti rendono però più difficile prevedere l’effetto complessivo della fuliggine mentre le sue particelle sono sospese nell’aria. Dobbiamo ora capire come l’influenza delle particelle influenzano il clima e la qualità dell’aria nel tempo, ma partendo da quanto scoperto sul rapido invecchiamento atmosferico della fuliggine potremmo avere previsioni più accurate dei suoi effetti ambientali“.

Pubblicità
Articoli Correlati