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Rinnovabili, l’Italia rischia di perdere fondi del Pnrr

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Da un lato l’ostruzionismo dei territori, dall’altro tre Ministeri che devono ancora rivedere il decreto ministeriale che nel maggio scorso era stato parzialmente annullato dal Tar. In mezzo, ritardi nella presentazione dei progetti di spesa da parte di alcuni Ministeri chiave, con il rischio di sprecare le ultime due rate.

L’Italia è in ritardo sui nuovi progetti per impianti di energia da fonti rinnovabili, come l’eolico e il fotovoltaico, e ora rischia di perdere anche alcuni fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Una situazione molto delicata, a cui si è arrivati per una combinazione di motivi. Il primo: sono le Regioni a dover indicare le superfici che potranno godere di un iter accelerato e agevolato per costruire e mettere in funzione impianti fotovoltaici, eolici, idroelettrici e a biometano, in base alle indicazioni del nuovo decreto ministeriale sulle aree idonee. Dai territori, a livello locale e regionale, c’è però una fortissima resistenza ad autorizzare nuovi impianti, come dimostra il caso emblematico della Sardegna. Non è questa, però, la sola ragione.

Come spiega Antonino Neri per Energia Oltre, infatti, pale eoliche e pannelli solari industriali potrebbero essere installati in diversi siti, in base al nuovo decreto ministeriale, attualmente in fase di revisione presso tre diversi Ministeri (Ambiente, Agricoltura e Cultura). Una revisione necessaria dopo che, nello scorso mese di maggio, il Tar aveva annullato alcune parti del decreto ministeriale già varato. Nel nuovo testo viene indicato un “insieme minimo di aree idonee“, con lo scopo di garantire scelte locali ma uniformi sul territorio nazionale. Tra i vari siti individuati dal nuovo documento per nuovi impianti di rinnovabili troviamo grandi parcheggi, superfici adiacenti alle autostrade (ma entro 300 metri), ex discariche o fabbriche dismesse, superfici destinate alla logistica e alle attività industriali e commerciali, ma anche gli invasi idrici, i bacini di cave e miniere dismesse, beni del demanio pubblico (compreso quello militare), i siti di Ferrovie dello Stato e delle varie società autostradali.

Il tema è essenziale per due principali motivi: quello ambientale, legato alla decarbonizzazione, e quello economico-finanziario, legato al Pnrr. Nel primo caso, risulta necessario centrare gli obiettivi del Green Deal e del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec), che prevede, entro il 2030, una potenza aggiuntiva di 80 GW da fonti rinnovabili rispetto al 31 dicembre 2020. Nel secondo caso, invece, occorre raggiungere uno dei target più importanti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza: la semplificazione delle procedure autorizzative per le energie rinnovabili.

La situazione, tuttavia, non appare di facile risoluzione e potrebbero aprirsi scontri e contenziosi tra i vari Enti dello Stato. Il nuovo testo, come il vecchio, prevede 180 giorni di tempo per le Regioni per individuare le aree idonee, e in caso contrario ci sarebbe il rischio del commissariamento. Il Tar, nei rilievi al precedente decreto ministeriale, aveva stabilito che spetta ai presidenti di Regione garantire la salvaguardia delle procedure in corso alla data di entrata in vigore dei singoli provvedimenti regionali. Chi sembra avere particolarmente fretta, in questo caso, è il governo nazionale, che vorrebbe chiudere la revisione del decreto entro la fine di settembre, sperando di congelare i fondi e salvare i progetti non ancora completati. I ritardi, però, non sembrerebbero imputabili esclusivamente all’ostruzionismo delle Regioni.

Come aveva spiegato La Repubblica, Giorgia Meloni avrebbe inviato un ultimatum ad alcuni ministri che non hanno ancora inviato tutta la documentazione necessaria sullo stato di avanzamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza, necessario per decidere quali progetti mantenere e quali stralciare, in modo da non sprecare i fondi europei. I tecnici italiani e quelli dell’Unione europea stanno cercando di arrivare ad un accordo sulla maggior parte delle modifiche, prima dell’invio della proposta di revisione: così facendo, il governo potrebbe ottenere il via libera di Bruxelles già entro ottobre, e a quel punto avrebbe dieci mesi di tempo per completare il nuovo Piano. Prima, però, è essenziale che ogni Ministero invii i documenti che certificano lo stato di avanzamento dei progetti finanziati dai fondi europei. Diversamente, gestire le modifiche del Pnrr si rivelerà molto più complicato. Tuttavia, come ha rivelato pochi giorni fa La Repubblica, la maggior parte dei Ministeri appare in ritardo. Tra l’altro, il il Mef ha certificato che finora alcuni Ministeri chiave (Lavoro, Cultura, Salute, Turismo e Agricoltura) hanno speso meno del 30% dei fondi che erano stati loro assegnati. Il rischio, concreto, è di perdere i fondi delle ultime due rate. Ed è per questo che ora ricomincia una vera e propria corsa contro il tempo.

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