Microfibre rilasciate dai vestiti ad ogni lavaggio. Nuovi studi sul loro impatto ambientale

Microfibre rilasciate dai vestiti ad ogni lavaggio. Nuovi studi sul loro impatto ambientale

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Ogni anno milioni di microfibre dei vestiti finiscono in mare dopo il lavaggio nelle lavatrici. Nasce un nuovo centro di ricerca per studiare la produzione tessile e le possibili soluzione al suo impatto ambientale. 

I vestiti perdono microfibre durante tutto il loro ciclo di vita, dalla produzione tessile all’uso quotidiano. Nasce un nuovo centro di ricerca nel Nord Est dell’Inghilterra, Fibre-fragmentation and Environment Research Hub (FibER Hub) della Northumbria University, con l’obiettivo di analizzare un’ampia varietà di tessuti per determinare il livello di perdita di microfibre in diverse condizioni e gli impatti ambientali associati

Anche le microfibre provenienti da tessuti considerati “naturali“, come il cotone, possono avere un impatto negativo sull’ambiente, poiché i processi di produzione introducono coloranti e finiture chimiche, alterando il tessuto rispetto al suo stato naturale. Lo aveva già dimostrato un altro studio coordinato dall’Istituto di scienze marine del Cnr, secondo il quale le fibre tessili diffuse in mare solo l’8% sono effettivamente sintetiche: per lo più sono composte da polimeri naturali, come lana e cotone, i cui tempi di biodegradazione non sono però ancora noti.

Il FibER Hub è il risultato di una collaborazione tra l’università e il Microfibre Consortium (TMC), la prima organizzazione che si concentra completamente su questo problema e lavora per conto dei suoi 95 firmatari, che includono marchi e rivenditori globali, fornitori e ONG.

FibER Hub è stato sviluppato come parte del progetto IMPACT+, una rete multidisciplinare di accademici ed esperti del settore, creata per sfidare il modo in cui l’impatto ambientale viene misurato e valutato nei settori della moda e del tessile.

Istituito nel 2023, il progetto è finanziato tramite il programma di moda e tessile circolare NetworkPlus di UK Research and Innovation e comprende accademici della Northumbria University, del King’s College di Londra e della Loughborough University, che coprono una varietà di competenze, come inquinamento dell’acqua, dell’aria e del suolo, scienza forense, design e big data. Lavorano insieme a loro rappresentanti di marchi di moda globali tra cui Barbour, Montane e ASOS; aziende di abbigliamento sostenibile Agogic e This is Unfolded; gruppi di campagna Fashion Revolution e WRAP; e Northern Clothing and Textile Network, Newcastle City Council e Newcastle Gateshead Initiative.

“Questa partnership strategica riflette l’obiettivo principale di IMPACT+ Network concentrandosi sulle microfibre come inquinanti ambientali trascurati e non misurati. La collaborazione interdisciplinare con il design e la scienza ambientale consentirà alla nostra ricerca di ridurre la perdita di fibre alla radice, implementando al contempo queste intuizioni direttamente in un contesto industriale”, ha affermato la dott. ssa Alana James della Northumbria, ricercatrice principale del progetto.

La collaborazione FibER Hub consente a TMC di attingere alle competenze interdisciplinari e alle capacità tecniche di Northumbria e del team IMPACT+ per ampliare la nostra offerta di conoscenze alla nostra comunità firmataria. Attraverso questa collaborazione, il team di ricerca TMC fornirà indicazioni per la ricerca pertinente informata dalle esigenze del settore, per andare oltre ciò che è possibile oggi e creare dati sulla durata di vita solidi, ampi e completi sulla frammentazione delle fibre“, ha affermato la dott. ssa Kelly Sheridan, amministratore delegato di TMC e professore associato di scienze forensi presso Northumbria.

FibER Hub
FibER Hub

Microfibre dei tessuti, perchè è un grave problema per gli oceani come la plastica

Le microplastiche rappresentano il 20% delle otto milioni di tonnellate di plastica che finiscono negli oceani ogni anno. Le più comuni sono le microfibre, provenienti per la maggior parte dai capi d’abbigliamento sintetici.

Il Dove Marine Laboratory dell’Università di Newcastle ha studiato per oltre 50 anni le acque del Mar del Nord, facendo luce sull’impatto del cambiamento dei microorganismi, dei livelli di nutrienti e del riscaldamento globale. Ma ora i ricercatori stanno utilizzando i campioni d’acqua raccolti per analizzare una crescente e invisibile minaccia che sta colpendo i nostri oceani: le microfibre di plastica.

Alla radice del problema c’è l’industria tessile che produce più di 40 milioni di tonnellate di prodotti sintetici l’anno: la grande maggioranza sono vestiti realizzati in poliestere, un materiale che ha molti benefic. Viene infatt utilizzato per lo sport e le attività all’aperto. Si asciuga molto bene ed è economico. Ma la sua resistenza rende difficile la sua decomposizione.

“La maggior parte dei nostri vestiti è composta da plastica, laviamo i nostri vestiti regolarmente e centinaia di migliaia di fibre vengono via ad ogni lavaggio. Questa potrebbe essere una delle fonti più grandi di inquinamento della plastica nell’ambiente. Come si può rimuovere qualcosa di così piccolo?”, spiega Imogen Napper dell’University of Plymouth.

Ecco cosa succede ogni volta che indossiamo un capo realizzato con fibre sintetiche.

Marevivo già da anni ha lanciato una petizione #stopmicrofibre per chiedere un’etichettatura visibile dei capi di abbigliamento, che indichi la percentuale di fibre sintetiche e naturali contenute nel capo, e che riporti dei consigli su come lavare i tessuti per minimizzare l’inquinamento delle acque provocato dalle microfibre rilasciate durante il lavaggio in lavatrice.

Il Regolamento Ecodesign o Regolamento ESPR (acronimo di Ecodesign for Sustainable Products Regulation), approvato dalla Commissione europea ad aprile 2024 e che verrà adottato a partire dal 2027, ha come obiettivo quello di migliorare la sostenibilità e la tracciabilità dei prodotti in tutto il loro ciclo di vita. Prevede che quasi tutti i prodotti venduti nell’UE, compresi quelli del settore tessile, siano dotati di un passaporto digitale (Digital Product Passport) che fornisca informazioni complete riguarda all’origine, ai materiali utilizzati, all’impatto ambientale e con le indicazioni per il corretto smaltimento.

Aiuterà questo regolamento e l’introduzione del passaporto digitale a gestire il problema dell’impatto ambientale legato alla produzione e ai tessuti dei nostri vestiti?

Quali sono gli elettrodomestici che producono più microplastiche?

Tra i maggiori colpevoli di produzione e rilascio di microplastiche ci sono la lavatrice e l’asciugatrice. L’utilizzo di questi elettrodomestici infatti, soprattutto se impiegati per lavare ed asciugare capi sintetici, può rilasciare una grande quantità di particelle di plastica.

Secondo uno studio del 2016, un lavaggio da 6kg di vestiti in lavatrice può rilasciare fino a 700.000 microplastiche. Utilizzare l’asciugatrice invece, può rilasciare ogni anno anche 120 milioni di frammenti di microfibre, di cui molti in plastica.

I tessuti sintetici sono la seconda causa di microplastiche negli oceani. Il loro contributo è pari al 35% maggiore quindi addirittura a quello dato dal consumo di pneumatici. Serve una azione per incrementare l’utilizzo di fibre vegetali biodegradabili”, ha spiegato a TeleAmbiente uno fra i massimi esperti europei in materia, il chimico Fabrizio Zago, che ha partecipato alla definizione dei criteri di certificazione dell’etichetta Ecolabel, ed ideatore del portale e dell’app Ecobiocontrol per scoprire l’impatto ambientale degli ingredienti di cosmetici e detergenti.

 

Ogni lavaggio di un paio di jeans rilascia oltre 50mila microfibre nell’acqua 

Microfibre di jeans indaco sono state scoperte in grandi quantità in campioni d’acqua prelevati in tutto il Canada, da Toronto fino all’Artico. Il sondaggio, condotto da Miriam Diamond dell’Università di Toronto e dai suoi colleghi, ha rilevato che tra una su otto e una su quattro di tutte le microfibre nei campioni erano provenienti da blu jeans.

Alcune delle microfibre sono state trovate a una profondità di 1500 metri e questo secondo i ricercatori significa che sono in grado di sopportare viaggi su lunghe distanze. Le più alte concentrazioni di microfibre di jeans sono state trovate nei laghi suburbani poco profondi. Sebbene il sondaggio fosse limitato al Canada, il team ritiene che i risultati sarebbero stati ripetuti altrove.

Un’azienda di Bergamo, Par.co Denim, ha deciso di realizzare jeans ecologici utilizzando solo cotone biologico, riducendo nettamente le emissioni e i consumi di acqua, eliminando le sostanze tossiche e pericolose, rendendo i capi più salutari per chi li indossa.

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