ponte sullo stretto normative antimafia

Ponte sullo Stretto, le normative antimafia diventano un caso

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Scontro a distanza tra il MIT e il Quirinale dopo i rilievi che hanno portato a stralciare le norme volute da Salvini. La Lega pronta a reinserirle con un emendamento, ma restano anche i casi delle violazioni alla Direttiva Habitat, delle coperture finanziarie e degli importi indicati nel Decreto Infrastrutture.

Neanche il tempo delle polemiche per l’approvazione del progetto del Ponte sullo Stretto da parte della commissione tecnica VIA-VAS del MASE, che c’è un nuovo scontro, ancora più infuocato: quello sulle normative antimafia. Un caso che ha portato addirittura allo scontro tra Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti che tanto desidera far partire quanto prima i cantieri, e addirittura il Quirinale. Il motivo del contendere? Il timore, sottolineato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che i controlli antimafia nel caso specifico possano essere indeboliti a causa di una norma ad hoc che la Lega aveva inserito in extremis, e poi stralciato, dal Decreto Infrastrutture. Ecco cosa sta accadendo.

Nello specifico, come hanno spiegato lo stesso Salvini e il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, l’idea della maggioranza era quella di trasferire la procedura di realizzazione del Ponte sullo Stretto alla struttura per la prevenzione antimafia istituita presso il Viminale. In questo modo, i controlli e la gestione degli appalti sarebbero stati centralizzati. Neanche il tempo di annunciarlo, che sono arrivati i primi rilievi del capo dello Stato. In una nota del Quirinale, infatti, era stato messo subito in chiaro che per il progetto del Ponte non fosse possibile adottare “una procedura speciale” come quelle usate in casi di emergenza o eventi speciali e che quella stessa procedura non risultasse “affatto più severe delle norme ordinarie“. Anche perché l’idea di Salvini, come sottolinea sempre la Presidenza della Repubblica, era quella di “derogare ad alcune norme previste dal Codice antimafia, deroghe non consentite dalle regole ordinarie per le opere strategiche di interesse nazionale“. Sempre dal Quirinale, viene reso noto che quella norma sui controlli antimafia non era stata inserita nel testo preventivamente inviato al presidente della Repubblica, ma era apparsa a poche ore dal Consiglio dei ministri.

Matteo Salvini, comunque, intende andare avanti e far partire i cantieri entro l’estate. Ed è per questo che, molto probabilmente, quella norma potrebbe essere riproposta in Parlamento in forma di emendamento. Il vicepremier e ministro dei Trasporti, da qualche ore, è alle prese con una polemica a distanza con il Quirinale: “Penso e spero che nessuno si opponga a inserire più controlli possibili contro infiltrazioni mafiose. Non penso che il Quirinale sia contro gli organismi antimafia. Chiediamo semplicemente che per il Ponte sullo Stretto di Messina ci siano gli stessi controlli che ci sono stati per il Ponte Morandi a Genova, per l’Expo di Milano, per le Olimpiadi invernali Milano-Cortina“. Il caso delle norme antimafia non è però l’unico che sta facendo discutere sul tema del Ponte sullo Stretto di Messina.

Un’altra polemica, infatti, riguarda l’approvazione del parere ambientale da parte della commissione tecnica VIA-VAS del MASE. Una commissione che, come è noto, non è composta esclusivamente da esperti tecnici totalmente indipendenti. Il progetto del Ponte, infatti, insisterà su aree che comprendono anche i siti Natura 2000, protetti dalla direttiva Ue Habitat. Pur di costruire il Ponte, quindi, si rischia di attaccare la biodiversità della zona, eludendo le norme europee grazie ad un’autorizzazione ambientale basata esclusivamente su una semplice dichiarazione del governo sull’assenza di alternative (che però, a dispetto di quanto previsto dalla normativa europea, non viene dimostrata) e sull’interesse pubblico del progetto. Associazioni ambientaliste e partiti di opposizione (come Alleanza Verdi-Sinistra) avevano inviato diffide al CIPESS e alla Commissione VIA, che però sono cadute nel vuoto. Non si esclude, a questo punto, un ricorso alla Commissione europea e agli organi giudiziari dell’Ue. Anche questo capitolo è destinato a rimanere aperto.

C’è poi la questione economica e finanziaria. Il Dl Infrastrutture, approvato dal Consiglio dei ministri, ha fissato il contratto e l’importo dei lavori non sulla base della gara del 2005 e del relativo contratto firmato (pari a 3,9 miliardi di euro), ma su un valore maggiorato, indicato nel Documento di Economia e Finanza (pari a 6,7 miliardi). Il DEF del 2023 prevedeva per il Ponte una spesa di 14,6 miliardi di euro, con un aumento dei costi superiore al 50% rispetto alla stima precedente. Secondo la normativa europea sulla concorrenza e il Codice degli Appalti, in caso di aumenti dei costi maggiori del 50% è necessario procedere con una nuova gara, ma il valore iniziale (quello del 2005) è stato omesso, probabilmente proprio per non fare nuove gare. Anche qui, è difficile immaginare che non vi saranno ricorsi legali e anche possibili procedure di infrazione europee.

I problemi non finiscono qui. Da qualche giorno, tecnici ed esponenti politici sono tornati a denunciare un nuovo colpo di mano dietro il progetto del Ponte sullo Stretto. Dalla Legge di Bilancio e dal Decreto Milleproroghe sono stati tagliati 1,7 miliardi di euro, ricavati dai fondi del Pnrr, che dovevano essere inizialmente investiti per la manutenzione delle strade provinciali. Quei fondi, che avrebbero dovuto essere spesi dal 2025 al 2036, sono stati dirottati proprio sul progetto del Ponte sullo Stretto. Gli enti locali, così, si ritroveranno a fare i conti con la mancata possibilità di investire sulla sicurezza di oltre centomila chilometri di strade, e tutto per un’unica, grande opera, su cui gravano dubbi e incertezze di ogni genere.

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